L’aveva sentito dire in casa.
Quando le donne erano in cucina per leggere il giornale, tutte insieme.
La pentola col brodo che bolliva, gli spinaci già pronti per il pranzo.
La nonna aveva la voce delle fiabe, che misurava lente le parole, con i silenzi prima della svolta, fosse un vecchio caduto in bicicletta o un trattore che s’era imbambolato nel bel mezzo della carreggiata.
La notizia stavolta era un po’ feroce e la voce s’era abbassata, quasi ci fosse la vergogna.
La putina si era avvicinata.
Una madre faceva quella cosa.
Prendeva gli insetti vivi vivi e li infilava negli orecchi della sua bambina, forse anche nel naso.
S’era scoperto all’ospedale dove la bambina …
Le donne fecero un urlo di spavento e si misero piano a parlottare con aria d’offesa e indignazione.
Forbicine.
La parola poteva già inquietare, ma saperle era ancora peggio.
Così rapide e snodate, con quel corpo di donnina scura e le zampe sui fianchi, faccendiere, e quella coda a pinza: cattiva, si vedeva.
Le conosceva anche la bambina, quando coglieva i fiori per sua mamma e dal cuore di una rosa gialla spuntava quella macchia buia che le faceva buttare il mazzo a terra e poi scappare via.
Stessa cosa nell’orto, quando la forbicina sbucava fra i grappi d’uva fraga, con le antenne dritte e minacciose e le correva lungo il braccio nudo. C’era da soffiare forte, per mandarla via, come per far volare i semi del soffione. Ma a lei, di colpo, veniva la paura d’averne forse in bocca una. Allora c’era da sputare e sputare, sputare per lo schifo, raschiando la gola finché non c’era più saliva.
E, se proprio, una forbicina al più avrebbe punto, poi sarebbe discesa verso il basso: lì c’era tanto posto, in fondo. Ma sentirla viaggiare nell’orecchio, girare nella testa come una tarma nei vestiti, battere alla tempia e poi tirare dritto e arrivare, arrivare chissà dove: questo era peggio, di sicuro.
E su per il naso? Se si respirava, più s’inerpicava, la forbicina maledetta. Sarebbe spuntata dentro un occhio? O avrebbe rugato sulla fronte, da dentro, per continuare la sua strada? Una forbicina nel cervello a fare confusione coi pensieri, a smangiucchiarli piano piano. C’era quasi da sentire il suo rumore, uno sfrigolio d’antenne e un colpo secco della coda.
Forse la vecchia Argia, che parlava così strano e vedeva sotto il tavolo un vitello, nel cervello aveva tante forbicine …
Si scostò da tavola e giornale, per non sentire più: quella storia andava a finir male, lo vedeva dal viso di sua nonna e dalla voce che adesso era un bisbiglio.
Cominciò da quel giorno a guardare la madre con sospetto. Perché una madre poteva fare quella cosa. Non importava che le scaldasse il latte e la mettesse a letto col sorriso, non importava che leggesse le fiabe, verso sera. Poteva fare quella cosa. Anche nelle fiabe le madri erano cattive, lasciavano i bambini dentro il bosco.
Venne la tosse insieme al raffreddore: la bambina si disperò, il naso tutto chiuso.
Che ci fossero in giro forbicine? Che la mamma avesse deciso di punirla, per aver detto che il brodo era uno schifo? Mentre uno dorme si fanno tante cose. Erano proprio gocce quelle che la mamma le instillava? O forse, giocando con la pasta cruda, era stato uno spaghetto a prender quella strada?
Anche il ditale non si trovava più. E le orecchie facevan così male, e la febbre, dio come saliva…
E se fosse proprio lei, in sonnambula, a farsi quegli scherzi, no, non sua mamma, neanche suo papà: erano sempre attorno al suo lettino con gli occhi così tristi. Magari era proprio lei ad infilarsi le cose dentro il naso, e poi non ricordava. Anche la scatola con gli zolfanelli era certo finita proprio lì: per questo aveva tanto caldo e la testa faceva male, come se fosse tutta cuore che batteva. Il fuoco nel cervello e il fuoco nei polmoni e il respiro che bruciava in gola.
La polmonite passò soltanto a primavera.