Qui come altrove c’è l’uomo che aspetta quel momento. Quando i gabbiani non cercano più il mare ma planano, naufraghi nel loro mal andare, sulla terra appena arata.
Sono macchie chiare, che fanno branco e fiore, mentre il macero sempre più si spoglia.
L’uomo guarda gli uccelli da lontano, mentre stanano larve dissodate e si aprono si chiudono nel mucchio, si cercano si chiamano, a voli brevi e becchi spalancati.
Quando la terra diventa un’onda bianca, l’uomo traversa di corsa la spianata, con tonfo che sgrana la campagna. Le braccia in alto, mosse come pale.
Si rompe la schiuma d’ali e piume, si straccia e si leva come per tormenta: frastorna, stordisce e quasi un po’ ubriaca, col verso a voce sola, un’unghia di metallo tirata sopra  il vetro che sale sale sale.
L’uomo sente nel grido, nel battito, nel volo, la compagnia di angeli feriti, un tremore che sa di paradiso o forse soltanto la polvere del cielo.