In esilio al mio tavolo-zattera, i luoghi lontani, per ora, non posso che pensarli.
E allora riprendo un gioco di biglie che mi è caro, un inventario di isole quasi esistenti, visto che ciò che passa per la parola approda ad una storia parallela e sotterranea, ad una categoria intermedia fra il reale e l’immaginario: quella del “possibile”.

La prima, ad occhio nudo, è già nota, in quanto avvistata da qualche Battello: è l’Isola degli aromi.

C’è un’isola di cui si avverte l’odore, prima ancora del profilo morbido e mosso.
Il suo nome cambia, rimbalza fra le spezie dei mercati e le voci dei porti, cangiante come una madreperla. Ogni marinaio ne  tiene memoria nel cuore, come un pegno o un invito o un rifugio.
Ma l’odore…, l’odore non muta e guida nelle notti senza luna, e chiama nei giorni di luce, quando l’acqua si fa specchio di segmenti leggeri.
Chi giunge all’isola sa che è per poco, solo vi può acquistare un vaso di menta o di rosmarino.
Se il bisogno di casa è forte e fa tremare la voce, si chiede la menta alla vecchia che attende. E nell’aroma il viaggiatore riconosce il profumo del pane, dell’aria che entra in casa, il mattino, a snidare il caldo del chiuso con l’uncino di una bava leggera. C’è chi giura d’aver visto una cuna e una tavola bionda, fra le foglie di menta.
Se invece è la paura a chiamare alla sosta, si chiede il rosmarino alla vecchia che attende. Così si sciolgono, lievi, le ansie di vascelli fantasma e si stemperano i gridi che gracidano, lontano. Non giungeranno le streghe, troppo intente a contare gli aghi di rosmarino, … e le ombre torneranno ad essere sogni.

Fra nostalgie e tremori, i viaggiatori scelgono e riprendono il viaggio, ricchi di una foglia o di uno spino.