(racconto zoppo n.2)

Il corridoio sa di minestrone.
Verde.
Le tende solo un po’ più chiare.

E’ piccola la stanza; il letto, spinto al muro, illude.
Scacchi di graniglia, sul pavimento: triangoli e rombi stretti stretti.
A impegnarsi, guardando, si trovano, instabili, le forme.

Cosa si può mai fare, qui.
Stare seduti, dire due parole. Leggere un po’, ma poi la testa, ma poi la testa…

Si parla del bagno: è così grande, coi maniglioni da palestra.
Ci stanno dentro due infermieri a volta.

“Si rovescia la vita.”- dice. “Adesso si sta a letto da soli e in bagno in compagnia”- e ride sottogola.

Torna e ritorna sulle cose, prende tempo ma non passa il turno: vuol parlare lei.
Quasi suggeriresti la parola nota, che ora non arriva.
Tu la conosci e aspetti.
Quasi la speri, a verifica che i conti tornino e gli ammanchi non siano, di giorno in giorno, dolorosi.
Quasi ripeti la domanda apposta, perchè il suono affiori, come d’abitudine.

Nel pavimento, fra la graniglia, c’è una porta che si apre, ma non puoi scappare: se inclini la testa, subito la perdi e trovi una valigia.

“ Sono una coperta, che non tiene più. Non c’è da rammendare, siete voi i miei punti.- e cambia, per non stare sul pensiero (si direbbe un tono da capriccio, un tono un po’ bambino) – “ Domani voglio il pane di forno, che qui sono diversi e lo fan duro.”

Punti e ponti han lo stesso suono, a casa nostra.
Uguale.
Un ponte di punti a catenelle, coi minuti molli e senza nervo.
Un ponte di coppiette secche, di ricciole croccanti che strusciano il palato, ma senza resistenza.

Si porteranno punti di pane e, insieme al caffè clandestino, ponti di filo grosso.
“Domattina presto”- dice.

Nel pavimento ora c’è un vaso di strelizie. Sono dure le strelizie. Sembrano uccelli di ferro arroventato. Pungono dentro. Il becco si pianta e pesca in acque vive.