Torno sempre a casa di buonumore, dopo una gita scolastica.
Distrutta, ma di buonumore.
Un po’ perché sopravvivere è già un risultato, e poi perché mi piace sogguardare i ragazzini in situazioni nuove.
Qui, da queste parti, teatro vuol dire Ferrara, che diventa meta di eterni ritorni.
E’ che, per la par condicio professorale, si scelgono cose diverse: insomma, oggi tocca a Mozart e al suo Impresario teatrale, in una saletta finalmente bella e bianca come una bomboniera.
Sembra la terra promessa dopo un treno scosso e un tram costipato.
Sì, va bene, la recitazione è così così così, la parte canora anche: la soprano cinese miagola (però s’impegna), l’altra, l’altra mica si capisce … Al suo apparire si accende un dotto dibattito fatto di bisbigli : ‘è un uomo è un uomo’, ‘ ma no no, varda i piedi, non sono poi così lunghi’, ‘e tu guarda le braccia, c’è un tatuaggio da marinaio. Prof., vero che è un uomo?”
Vorrei sprofondare nel buio, perciò mento e giuro:  trattasi di una “costellazione di nei”, che fa molto settecento.  E poi staremo mica a formalizzarci, neh?

Si esce da teatro con il cuore leggero, con la testa leggera, canticchiando insieme l’aria di “sono la prima cantante…” : c’è il sole, un fresco da lepre marzolina, una scia (non proprio maleducata, solo un po’ distratta) di briciole di panini ( che Pollicino, al confronto è un dilettante). La musica mette appetito, la voglia di ridere e di godersi la città. Oggi si sta fuori tutta la giornata, a rubare un’idea per scrivere racconti rinascimentali, sospesi fra il vecchio e l’addizione erculea.
Ecco, tutto sta andando per il verso giusto.  Sfuggiti alle insidie sirene del Mc Donald, stiamo mangiando sani multistrati portati da casa, all’ombra di un chiostrino, con un profumo che va dai toni della mortadella tartufata al prosciutto san Daniele, quando risuona la parola che non vorresti mai sentire. La parola che sa di dolorosi pellegrinaggi e stilettate inferte al buon gusto…: REGALINI.
L’immagine evocata risveglia pure la ragazzina del Marocco, che sa pochi termini italiani, ma questo sì: RIGALINA, RIGALINA.
Che fare?
Benevolmente, in sosta post prandiale, si decide di prendere il mondo dei cadeaux con filosofia.
Andate, non esagerate, si può andare da qui a lì. Vi aspettiamo al muretto. Non comprate schifezze, per favore.
Il ricordo va a piattini fosforescenti con coccinelle in rilievo, come foruncoloni rossi su un ramarro, per le mamme, a piccole bare portachiavi per il babbo (variante: finto osso di dinosauro, presso siti archeologici), a stiletti di plastica, imitazioni di armi medievali, per il nonno depresso, a crocifissi di abete (tre chili), come ciondoli per girocollo, portatori di scoliosi a nonne innocenti…

Arriva il bambino piccolo e cespuglioso, bisognoso di una consulenza.
Il mio ego educatore ha un sussulto di compiacimento. Un allievo che chiede consiglio per evitare brutture universali.
REGALINO PER LA MAMMA. Caro caro bambino cespuglioso.
L’occasione per una lezione di stile: qualcosa di semplice e di femminile, si suggerisce, qualcosa che non sia necessariamente legato al luogo, qualcosa che faccia piacere a chi lo riceve, che si possa tenere vicino, come ricordo.
Nicolò sorride, grato, e corre verso il destino.
Torna dopo un po’ con una sportina di plastica, recante un ambiguo, rotondeggiante gonfiore.
Cos’hai comprato per la mamma, allora?
Un maiale di peluche.
Fucsia chiaro, col muso più intenso.
Sferico.
Marmoreo.
Lo ha appeso allo zaino e ha fatto scuola.

Siam tornati a casa con un branco roseo.