Mi piace l’energia sottile degli inizi.
Me lo ripeto spesso.
Nel mio elogio seriale del giorno che comincia.
Nella cova delle lune nuove.
E nella coda di un piccolo apparire.
(meraviglia dell’uno che torna al calendario, in solitudine, dopo coppie di  numeri forzate)

Ben venga, dunque, settembre.
Ben venga.

Lo aspettano gesti  e pensieri, da orientare in diverse direzioni.
Alcune antiche, altre in cerca di rotta, a favore di vento.

Vasi di vetro, già pronti a prove d’olfatto, in attesa di mostarde agglomerate.
Globose e senapate.

Fiale per rosòli maturati nell’estate, fra odori di mandorla e limone.
Trasparenze rassegnate ad alcolici transiti incipienti: ne resterà memoria nel colore che stenterà a lasciare le pareti.

I ricordi son più indisciplinati.
Non stanno appiccicati come pere, nello zucchero sciroppo che le accoglie.
(Un vecchio sogno, quello di condensa: candire il dolore, fissandone la vena di dolcezza)
Non stanno separati nei vetri di bottiglia.
(Un vecchio sogno, quello di unità discrete: riconoscere in grazia d’etichetta)

I ricordi s’arrampicano, ad essere sinceri.

I ricordi sfidano le leggi della gravità.

I più pesanti e nuovi, quelli impastati di lacrime e sudore, scoppiano in bolle a rapida espansione.
Salgono in alto, insomma, cercano la gola, gli occhi.
Stringono, non lasciano la presa.
E sono schianto e nodo.
Un nodo avviluppato, che si vorrebbe un poco stemperare nella schiuma della memoria bella.

La memoria bella.

Certo ritornerà.
Per lei, per la sua vena d’acqua, si chiede tempo al tempo, perché diventi spazio, in forma di distanza.
O di aria.
O di pagina, chissà.

Per lei non si preparano fiale trasparenti, brave a separare, né vasi rotondi come grembi: solo si spera in un riquadro bianco, per crespi di parole.