Qui come altrove, c’è la vecchia che non vuol far morire il pane, perché cristo è sceso da cavallo per salvarne una briciola un po’ sporca. Allora conserva quello vecchio dentro ad un cassetto, coperto col telo rigatino della dote.
Quando si colma la misura, lo taglia sull’asse, fino fino, togliendo le croste, quelle scure, così trionfa il bianco. Le piace metterlo nella conca grande, che al fondo tiene una trama sottile di crepure, da annosa  porcellana che lavora. Poi versa l’acqua. Il pane se la beve come lievito e si gonfia. La vecchia sa come dosare olio e sale e mettere sul fuoco il pane ravvivato: lo cuoce piano piano, non senza una manciata di parmigiano buono e di pazienza.
I vicini aspettano il momento e aiutano il rito del risveglio. Ciascuno tornerà con la scodella piena e inventerà il gioco dei sapori: chi troverà il profumo dell’arrosto, chi della lepre sacrificata in forno, chi delle uova che friggono nel lardo…
E il pane non sarà pane soltanto.