Qui come altrove, c’è la vecchia che non vuol far morire il pane, perché cristo è sceso da cavallo per salvarne una briciola un po’ sporca. Allora conserva quello vecchio dentro ad un cassetto, coperto col telo rigatino della dote.
Quando si colma la misura, lo taglia sull’asse, fino fino, togliendo le croste, quelle scure, così trionfa il bianco. Le piace metterlo nella conca grande, che al fondo tiene una trama sottile di crepure, da annosa porcellana che lavora. Poi versa l’acqua. Il pane se la beve come lievito e si gonfia. La vecchia sa come dosare olio e sale e mettere sul fuoco il pane ravvivato: lo cuoce piano piano, non senza una manciata di parmigiano buono e di pazienza.
I vicini aspettano il momento e aiutano il rito del risveglio. Ciascuno tornerà con la scodella piena e inventerà il gioco dei sapori: chi troverà il profumo dell’arrosto, chi della lepre sacrificata in forno, chi delle uova che friggono nel lardo…
E il pane non sarà pane soltanto.
Qui come altrove 13
13 sabato Ago 2011
Posted qui come altrove
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Deli ha detto:
…. aggh, bellisismo ricordo ma al contempo, questo "pancotto" era la pietanza preferita di mio padre e aborrita da noi figlie e figlio… (ancora ne parliamo…)
Un abbraccio :-)
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marosit ha detto:
Che bella parola usa Deli: pietanza. La si sta un po' perdendo.
E poi, 'pietanza' era – è? – quanto si ha oltre il pane. Tante volte soltanto tempo, pazienza e… immaginazione.
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cristinabove ha detto:
mia nonna preparava l'acqua pazza
pane raffermo, aglio, foglia d'alloro, acqua… un minuto di bollore, un filo d'olio buono… e noi bambini felicissimi!…
baci
cri
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
cara Deli, ci sono delle ricette migranti, che accomunano luoghi e persone così diversi fra loro… E partono dal pane: qualcosa vorra pur dire, vero?
Qui da noi il pancotto si chiama panada. Densa e calda è stata a lungo il cibo (risparmioso) degli 'sdentati', vecchi o bimbi che fossero…
A me non piace/va. dopo il primo boccone ne avevo abbastanza.
Ti abbraccio.
§§
Sì, cara Marosit, pietanza è parola molto bella, come lo è, con più semplicità e spirito spartano, la parola 'companatico'. Dentro la pietanza c'è il lavoro: la pietanza si prepara… Il companatico si cerca…
Penso come oggi il cibo diventi il 'piatto': contenitore al posto del contenuto, e qui la metonimia non regala poesia…
Un abbraccio ferragostano:)
§§
cara Cristina, come dicevo a Deli c'è nomadismo nelle ricette povere:))
L'acqua pazza, però, è più profumata…
Da piccoli non si sanno i nomi. Mio fratello scambiò la panada, che chiamava pannata , per le meringhe: mianonna le preparava quando restavano degli albumi e allora li montava con lo zucchero e un poì di farina, per passarli al forno. Figurati la sua delusione quando, invece dei dolci, si trovò di fronte la crema di pane:)
Anche a te un abbraccio.
Stamattina ho dormito fino alle 10.
zena
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linodigianni ha detto:
un abbraccio a voi, e bella questa trasformazione da alimento a magia
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barchedicarta ha detto:
mia mamma mi ha raccontato tante volte della panada
ma io non ne ho memoria nè sapore…
un abbraccio
grazie di questi ricordi così vivi e limpidi
buoni come pane e speciali com te
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colfavoredellenebbie ha detto:
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caro Lino, non c'è antro magico più collaudato delle cucine povere:)
saluto assai afoso, stamattina.
ciau
z.
§§
cara Barche, anch'io ho pochi ricordi diretti: più del sapore ricordo l'odore e il senso di comunità che questo cibo costruiva… Ce n'era per tutti!
Buon ferragosto a te e a chi passa e non passa di qui
zena
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Atward ha detto:
Alla mia nonna (originaria di Pilastri) piaceva la panada, Zena … io me la ricordo, ma ricordo che né a me né ai miei fratelli piaceva :-)
buon ferragosto
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colfavoredellenebbie ha detto:
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ciao edoardo, appena passati per Pilastri:)
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sexymorfea ha detto:
colfavoredellenebbie ha detto:
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grazie, Morfea. Punterei all'obiettivo minimo di uno sciopero delle zanzare.
:)
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annaritav ha detto:
La vecchia che non vuol far morire il pane, che bello! Il rito del risveglio di un vecchio tozzo di pane, grazie all'amore, alla pazienza e a pochi, basilari sapori, ha tutto il fascino di un rito ancestrale che dobbiamo perpetuare nelle nostre cucine moderen. Un abbraccio, Annarita
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colfavoredellenebbie ha detto:
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cara Annarita, attorno al pane si muovono tante storie…
Se i racconti vivono del/nel cambiamento, il pane sa fornire trame quanto mai flessibili.
Sto pensando al suo destino nelle fiabe: è all'inizio e alla fine del viaggio, come benedizione o come premio, durante il tragitto diventa briciola per segnare la via, è merce di scambio e di identità. Femmina e maschio si distinguono proprio nel modo di tagliarlo: la prima chiama il coltello verso il grembo, il secondo sfida/sfila l'aria… E via continuando, per infiniti rivoli narrativi…
Un abbraccio.
z.
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colfavoredellenebbie ha detto:
(p.s. molto fuori tema: ma la state guardando la luna di queste notti?)
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arden ha detto:
Ma che domande fai, Zena?..
;-))
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colfavoredellenebbie ha detto:
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ehhhh, so ben io, cara Arden:))))
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falconier ha detto:
Oh che bello Zena questo recupero del pane vecchio!
A ferragosto i miei cognati ci hanno portato nella bassa bresciana a padernello in una vecchia osteria dove abbiamo mangiato benissimo, ho potuto gustare per la prima volta nella mia vita le mericonde che come sai sono fatte con pane raffermo senza crosta bagnato nel latte ….
Per mangiare bene bisogna tornare alla cucina povera!
Ho qui accanto mia nipote 14nne Clotilde che ha appena finito di fare con me un po' di potenziamneto di algebra per essere pronta alla prima liceo e mi continua a dire di mandarti un cuoricino perchè le è piaciuto questo post <3 provo un caro saluto da Fausto e Clo.
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colfavoredellenebbie ha detto:
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caro Fausto, ringrazia Clotilde del pensiero: fa' conto che il cuoricino sia arrivato… Ce lo teniamo stretto, perché di cuore non ce n'è mai abbastanza:)
Non la conosco la bassa bresciana, anche se il mantovano mica è lontano, ma la mariconda sìììììììì, così ben profumata di noce moscata e chiamata a galleggiare in un brodo come si deve:))
ciaoooo.
zena
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melogrande ha detto:
Non si butta via il pane, è vero.
Sai una cosa ?
Ho rivisto i miei nonni cenare con pane raffermo ammorbidito nel latte caldo.
Non è che ho pensato a loro, li ho proprio rivisti, e questa è la cosa più bella che la scrittura possa regalare.
Un saluto.
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
no, il pane non si butta via, così come non dovrebbe essere buttato nulla che contenga 'natura' e 'lavoro'.
Viviamo, invece, nell'epoca dell'usa e getta, in cui si è persa la categoria di mestieri più antica del mondo, così cara a Luigi Meneghello: quella legata al gesto del 'riparare'.
(grazie per questo tuo passaggio: è un piacere incrociarti qui)
un saluto
z.
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melogrande ha detto:
Mi hai fatto venire in mende una citazione che avevo messo da parte.
Eccola.
Dopo l’ avvento della civiltà industriale, il lavoro è diventato un’ operazione a senso unico, nella quale l’ uomo – lui solo attivo – modella una materia inerte, e le impone sovranamente le forme che le convengono.
Le società studiate dagli etnologi hanno del lavoro un’ idea ben diversa. Esse lo associano spesso al rituale, all’ atto religioso, come se, in entrambi i casi, il fine fosse quello di intrecciare con la natura un dialogo in virtù del quale la natura e l’ uomo possono collaborare: l’ una concedendo all’ altro ciò che lui spera, in cambio dei segni di rispetto, o persino di pietà, cui l’ uomo si obbliga nei confronti di una realtà collegata all’ ordine soprannaturale.
Ancor oggi sussiste una connivenza fra tra questa visione delle cose e la sensibilità del contadino e dell’ artigiano tradizionali. Costoro infatti, siccome continuano a mantenere un diretto contatto con la natura e con la materia, sanno di non avere il diritto di violentarle, ma devono cercare pazientemente di capirle, di sollecitarle con precauzione, direi quasi di sedurle, attraverso la dimostrazione perennemente rinnovata di una familiarità ancestrale fatta di cognizioni, di ricette e di abilità manuali trasmessi di generazione in generazione.
Claude Lévi Strass
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colfavoredellenebbie ha detto:
E' una citazione molto bella e densa.
Credo contenga una grossa verità: il lavoro ha avuto valenze simboliche (e non) molto diverse nella civiltà industriale e nella civiltà contadina (quella che, secondo me, ha cominciato a disgregarsi in Italia dopo il boom economico, con la progressiva sparizione della classe bracciantile, 'defenestrata' dalle campagne).
In passato il lavoro della terra stabiliva con la natura un patto di vita, confinante col religioso (anche in senso pagano): ancora oggi, comunque, a 'ingraziarsi' i campi, qui da noi, ci sono piccole croci di salice, sposate con l'ulivo benedetto…
Direttamente dal cielo (lune e stelle) venivano derivate le indicazioni di lavoro perché sempre dal cielo, dagli umori del tempo, dipendeva la riuscita di un lavoro o di un raccolto.
Questo legame verticale è ora mediato dalla tecnologia, ma credo sia in qualche modo rimasto vivo, quando non è stato inquinato dalla ricerca esasperata del profitto: ci sono campi rasi, bruciati dal diserbante e trasformati in distese di serre, qui da noi…
Ci sono però anche giovani agricoltori che tentano di ripristinare antichi equilibri, senza rinunciare al nuovo: sentono la seduzione della natura e a loro volta la esercitano, questa seduzione, chiedendo alla terra, per esempio, di tornare a dare vecchi sapori:)
Spero non si perda questo contatto.
Ti ringrazio tanto, ma proprio tanto, per avermi fatto conoscere queste parole di Lévi Strauss.
E ti saluto.
z.
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lillopercaso ha detto:
Il Pancotto, l’incubo dei miei fratelli!! A me piaceva, ma non quanto la Torta di Pane, il mio dolce preferito. Che nel vicentino chiamano Maccafame = ammazzafame.
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