Le parole che Elia Malagò manomette e rimette al mondo (per scioglierle dall’opacità e restituirle all’innocenza) mi ricordano la terra quando viene rivoltata e assume, allora, il colore stupito della non usura: si espone, umida nel segno sagomato dalla lama, con la sfumatura azzurra che i metalli sottraggono al fuoco.
Liberare le parole (rendendole così esatte e calibrate, smussate o urticate, da non avere un sinonimo) è l’arte di ‘rivoltare le zolle’. E’ la capacità di scavare con onestà, fino a trovare le radici della essenzialità e gli umori del sentire.
Fare della poesia lo spazio per cercare l’esattezza del dirsi è, a sua volta, il frutto di un rigore che spiega una vita intera.
Entrambe le direzioni generano, in chi legge, la responsabilità di non disperdere il senso messo in circolo dai versi. Forse per questo convivo da un paio d’anni con la raccolta Incauta solitudine, senza trovare il coraggio di accompagnarla con la (mia) scrittura.
Adesso però piace uscire allo scoperto.
Per colpa di una suggestione e di un trattino.
La suggestione sta nel titolo della raccolta nuova che Elia ci consegna: L’Orto dei semplici.
L’ orto dei semplici sa di coltura e di antichi rimedi, essenziali nella loro unicità naturale, non manipolati né intrecciati né doppi. Sa di spazi vegetali conclusi e protetti, di un ‘dentro’ sottratto al consumo del ‘fuori’ e del suo tempo. Sa di cataloghi d’erbe e piante (gli hortuli) pazientemente composti all’ombra dei chiostri.
L’orto dei semplici sa di attenzione e cura, quella che lenisce e allevia.
Accostato alla poesia, fa transitare sottile queste sfumature di senso, e disegna visivamente rettangoli, cerchi e spicchi (o porte, cicli e aiuole), sui bordi dei quali disseminare i titoli dei tredici componimenti che articolano la raccolta.
Ed è il trattino l’anima di ogni titolo, un trattino che prende per mano e relaziona, moltiplica le direzioni perché, a figure e situazioni, luoghi e sentimenti, ‘gemella’ una presenza vegetale: timo, verbena, achillea, malva, parietaria, rosmarino, azulene, rovo, salvia, ortica, menta, borragine, sambuco.
Come se ogni evento o stato della vita potesse contare su un ponte, su un’inarcatura verso un correlativo vegetale, capace di riversare all’indietro il suo potenziale immaginario e di aprire ad altri risvolti, ad altre attese, in un allacciamento che suggerisce collegamenti senza stringere né costringere, senza fingere meccaniche identità, ma solo indicando i tanti percorsi paralleli che la vita consente e la poesia realizza.
Qui sta uno dei tanti modi in cui si esplica l’intelligenza poetica: l’annodare.
Perché la poesia non si serve delle sue figure soltanto come cifra espressiva, ma come strumento di conoscenza che, pur partendo dall’esistente, lo intacca, lo traspone, lo fa germinare. Anche in un arbusto.
Forse non è un caso, allora, che i versi de L’Orto dei semplici utilizzino il terreno dell’analogia e affidino la possibilità dell’annodare al ripetersi costante dei paragoni (“come un’amazzone senza lancia e cavallo”, “come un sospiro a metà/ di una calura che senza vocali/ronza”, “come un sanguinaccio d’acqua di riporto e condensa”, “come un segreto sepolto e giurato”, “come un sussulto all’alba”, “come una canna ti pieghi”,…), che nei loro vicinati inattesi aprono l’orizzonte referenziale della poesia e moltiplicano la presenza del reale e del possibile, in forma di suono e di odore, di colore e di ombra.
A sorreggere questo slargarsi del senso (e dei sensi) è la scelta ulteriore di utilizzare un altro potente ponte grammaticale : il “tra”, che, agganciando significazioni binarie, a volte diventa marca spaziale, a volte indicatore modale, indeciso e fluttuante fra referenti.
Il viaggio della poesia (“tra mattane e silenzi”, “tra zolle da piccone”, “tra una pietra/ e chissà che altro mattonaccio”, “tra il poco e/ il niente”, “tra mentastro/ e mazzi di ortiche”, “tra la betulla incarognita nell’incuria e i due pini”, “tra testa e tendini lunghi e striati”, “tra gengive e parola”, “tra carrubi incarcerati nel silenzio”, “tra i denti”, “tra anse di corrente”, “tra ghigni e pedaggi”) si fa metaforicamente tutt’uno col viaggio di erbe, arbusti e piante, col profondare delle radici nel terreno, nei cocci, negli interstizi, alla ricerca del giusto che serve a “bastarsi”.
Il “bastarsi” è il dono dell’orto e la sua legge di sopravvivenza: lo sanno le vecchie ragazze di campagna, così come sanno che la semplicità necessaria si apprende nel mezzo delle cose, “sotto”, “dentro”, “in”, cercando quote di profondità e di appartenenza alla terra, ma anche la relazione, il legame che accompagna, magari sull’orlo rassicurante di un’amicale “tazzina di caffè”.
Carte amicali – sambuco
un po’ frustra e fuori commercio
come una noce sotto i denti a sfida
di una vecchiaia incipriata
e poi chissà dov’è e dove andremo a stanarla
prima che si infili sotto il colletto cementando abitudini e tartaro
Questi fogli forati mi costringono a righe numerate
un pentagramma o la pista di oche esercitate a rapidi
rientri
se solo dimentico la chiave di violino
eppure resta la voglia di uscire allo scoperto
affacciarmi sul bordo
in vertigine: ma dove sei che mi pare di toccarti
l’orlo della manica
un poco lisa come le nostre bordate
tra battute e arresti pudichi
e l’amicizia è proprio lì
tutta lì sull’orlo
della tazzina di caffè
(Elia Malagò, L’orto dei Semplici, Fascicolo editato nel 2012 dall’Associazione Culturale “La Luna”)
poetella ha detto:
mamma mia che post lungooo…
leggo domani, che ho troppo sonno!
Un bacio, zena…e …notte!
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colfavoredellenebbie ha detto:
Non c’è fretta, Lucia.
La poesia di Elia va centellinata:)
un saluto grande.
z
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colfavoredellenebbie ha detto:
Cara Elia, con tutte le tue essenze faccio un mazzolino.
Ogni partenza ha il suo profumo.
Piace pensare che N., a cui abbiamo avuto la fortuna di volere bene, sia partita in compagnia di timo e verbena, di achillea e malva, di parietaria e rosmarino, e di tutti gli altri arbusti che sono cresciuti in verità nel tuo orto. Un orto che sa di amicizia.
zena
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Univers ha detto:
Echi di parole sempre o spesso rimarcate nella memoria. Un saluto.
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colfavoredellenebbie ha detto:
Grazie per questo passaggio gentile, per la sottolineatura, per il saluto che ricambio con piacere.
zena
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francesco ha detto:
Bel post, Zena (c’è bisogno di dirlo ancora?).
E soprattutto bello quel verbo in corsivo: manomette. Perché ne hai evidenziato l’ormai perso lato positivo, non quello negativo con cui siamo abituati a usarlo: Elia ‘mette mano’ alle parole. E come dici tu, le libera dalla schiavitù della polisemia, le affranca nel loro unico e ultimo > libero > ingenuus (ancora l’origine latina….) significato.
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colfavoredellenebbie ha detto:
caro Franz, per Elia la parola ‘manomissione’ contiene già una dichiarazione di poetica. Leggi cosa scrive nella pagina che apre la raccolta:
” Questi testi sono la seconda sequenza inedita di ciò che nel 2010 è stato pubblicato in “Incauta solitudine” con il titolo di Manomissioni.
Insieme costituiscono un’ unica silloge.
Metto mano a parole così antiche da non esistere quasi più. O non sapere quale carne e lungo silenzio abbiano vissuto e attraversato prima di avere la loro aria, l’anima che si dice e si lascia dire perché ha una storia e una ragione profonda per esserci. Affondo le mani in queste radici che non si rassegnano a morire, nonostante lo scempio scientifico perpetrato per anni, per ridurre, modificare, piegare, costringere, impoverire, portare definitivanente fuori, manipolando e innestando, suggerendo immiserimenti, ripetendo come un mantra non il nuovo valore, ma il disvalore.
La manomissione è ridare la innocenza alla parola, lo spessore il colore e l’ombra che le è stata rubata per togliere l’innocenza a ciascuno di noi, dal momento che siamo le parole che abbiamo.
Riprenderla dal silenzio in cui necessariamente ha dovuto e deve ritornare a inabissarsi ogni volta che la si viola.
Lo faccio ora perché sono una vecchia ragazza di campagna che se lo può permettere. ”
Capisci perché amo profondamente, quasi con struggimento, la poesia di questa “vecchia ragazza di campagna”?
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Deli ha detto:
già da anni mi ha insegnato ad amare Elia Malagò (che anche il nome è già poesia) – Ed ora la ritrovo ancora, così densa che ogni parola richiede tempo di decantazione (di assaporamento).
Un abbraccio :-)
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colfavoredellenebbie ha detto:
Ne sono contenta Deli.
tanto.
e ti abbraccio, amica cara.
z
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atward51 ha detto:
I tuoi accompagnamenti, Zena, entrano dentro, nella sostanza dei libri, sanno raccontare l’anima delle parole e diventare essi stessi gemme letterarie, sanno tessere amicizie, perché il tuo amore profondo per si effonde e cattura chi legge te ed Elia Malagò.
Un abbraccio
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colfavoredellenebbie ha detto:
Ogni lettura è un passaggio: solo spero che sia rispettoso e sappia lasciare una sensazione e costruire uno stimolo alla lettura.
Un abbraccio e un saluto.
zena
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t. ha detto:
E’ difficile scrivere di poesie – lo è sicuramente per me -, ed è estremamente difficile farlo senza sovrascriverle. Se questo è vero in generale, figuriamoci nel caso della poesia di Elia che nasce con il manifesto impegno di riportare dagli abissi ogni parola, per metterle poi in riga fino ad arrivare all’abisso del verso – orlo di tazzina o il nome di dio che sia.
Mi era incautamente scappata una frase, tempo fa, cioè che è una poesia che non comprendo ma che so che mi comprende. Ho aggiunto poi, scrivendo di questo da un’altra parte, che il “comprendermi” avviene, credo, per “essenza elementare” (e non per “trascendenza”, per spararla grossa).
Infine voglio dire che, anche grazie al tuo “accompagnamento”, ho (ri)scoperto la potenza dell’analogia. Che la mia avversione per “similitudini” nasca dalla paura di un fin troppo facile “rispecchiamento”? Può darsi; ma nella poesia di Elia l’acqua non è un liscio specchio, è mare, e “arriverà prima o poi l’onda che / generosa infranga e / ti faccia girino”.
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colfavoredellenebbie ha detto:
credo che le similitudini, quelle che suggeriscono fili segreti, percorsi da talpe con le ali, siano uno dei modi dell’intelligenza della poesia.
C’è quello della sonda che porta ad intus legere, giù giù, e poi c’è questo, quello della rete, dell’inter legere… che annoda partenza e arrivo.
Fra i due poli, spazio mobile, bisogna andare di cuore e cercare i legami per somiglianze, per approssimazioni, per vissuti o per immaginati.
Come si sente.
E chissà quanti altri modi ha dalla sua parte, la poesia.
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senza ha detto:
Cara Col, che dire di ciò che dici di quanto non ancora (da me) letto? Dico che la tua “affabulazione” mi invita alla lettura, perchè è come sempre allettante, perchè mi fido, visto quanto mi ha colpito (e tu lo sai…) l’incauta solitudine che mi hai fatto conoscere!
Leggerò, (per ora) inesperto ortolano.
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colfavoredellenebbie ha detto:
Caro Senza, tu sei un ortolano di montagna. Di quelli solidi, abituati a parlare con pietre, sassi e martocleti. Non è poco:)
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cristina bove ha detto:
recensione bellissima, che entra nel cuore della poesia e ne restituisce ogni sentire, i particolari offerti come guide impercettibili che traghettano al senso più profondo della parola.
amerò senz’altro questa voce poetica, già mi appassiona e coinvolge.
grazie
cri
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colfavoredellenebbie ha detto:
cara Cristina, è bello che le voci poetiche entrino in relazione: la tua mi è cara e preziosa.
grazie, di cuore.
z
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Alberto Facchini ha detto:
Ho ancora stampati in un angolo del cuore i due incontri che Elia ha tenuto nella nostra scuola (il Manzoni di Suzzara). Sono state due occasioni preziose e rare che hanno inondato le giovani anime presenti di flussi di emozioni e messaggi diretti alla “pancia”.
Le parole di Elia saltano spesso l’argine che il regno del lessico impone loro: state al di qua della linea, mantenetevi nel territorio della ragione. E così spesso riescono a saltellare libere nei terreni dell’ombra, del profondo, dell’anima, donandoci attimi imprevedibili di piccola follia e di godimento emotivo.
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t. ha detto:
Uno di questi incontri, immagino.
Ordine & caos in poesia
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Alberto Facchini ha detto:
Siiii! Non mi ricordavo più (eppure li ho pubblicati io!)
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colfavoredellenebbie ha detto:
carissimo, tu cogli sempre il centro delle cose: le parole di Elia non si possono imitare, solo seguire, specie se si ha l’attitudine ai viaggi su bordi, orli, confini, fili di nylon e mulattiere.:)
A presto
z
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cicabubu ha detto:
Scrivere versi come Malagò non è da tutti..tu mi hai fatto conoscere le sue poesie ..grazie Col
^^
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colfavoredellenebbie ha detto:
E io ne sono felice, carissima Cicabu. Proprio felice.
Ti saluto con affetto grande.
z
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mitedora ha detto:
che sei una meraviglia, lo sai, vero? il poeta, tu, lo bene_dici. E, tu, sola. Un abbraccio vivo. Dora
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colfavoredellenebbie ha detto:
E io lo sento il tuo abbraccio bene-dicente, perché il tuo affetto è un regalo.
Ciao, amica cara.
z
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marilumari ha detto:
Che trapuntata meraviglia, questo tuo “uscire allo scoperto”, affacciata “sul bordo in vertigine” di questa lingua (e linguaggio) languidamente vegetale della poetessa Malagò, che avvolge con tanta stupefacente naturalezza il tempo nella sua stessa misura di aiuola circoscritta (hortus conclusus) e sterminato pentagramma. Solo dimenticando la chiave di violino, per lasciare la porta della musica aperta, sempre, al silenzio condiviso e intensissimo.
Grazie, grazie e ancora grazie. Questa tua recensione è un pifferaio magico che costringe l’oca sottoscritta a un rapido rientro sui suoi passi per leggere e rileggere, fino a dimenticare di avere fin troppe piume a disposizione — per scrivere.
Un abbraccio, marilù.
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elia malagò ha detto:
Cara Zena, grazie per la tua voce che apre le porte dei nostri orti.Di più ancora perchè lo fai nel momento di dolore e di grazia in cui abbiamo salutato Nives.
Amiche e amici di Zena, mi piace vedervi e sentirvi a casa nostra.Ben-venuti.
ciau, elia
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colfavoredellenebbie ha detto:
Cara Elia, il tuo orto cura.
Porta le sue parole in questa scasa, dove passa e si ferma un’umanità che si chiama e si richiama, si conosce e si ‘comprende’ proprio attraverso la scrittura e il regalo del tempo.
E adesso il tuo orto porta anche te.
Non saprei pensare a un regalo più caro.
Grazie.
ciau, zena
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colfavoredellenebbie ha detto:
Marilù maga di parole, altroché:) e tessitrice amorevole di suggestioni.
Io leggo sempre con emozione i tuoi percorsi perché ogni volta torno a casa con qualcosa che aggiunge valore.
Stasera mi porto via quella porta socchiusa, con vista sul pentagramma.
E ti ringrazio, come sempre.
con affetto,
zena
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robertomeister ha detto:
Per me… una gran bella scoperta.
Grazie
Roberto
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colfavoredellenebbie ha detto:
Grazie a te, Roberto.
Sui Feaci, qui a fianco, trovi Pita Pitela, di Elia: una delle prime raccolte…
Un saluto grande
zena
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chiara ha detto:
alla mia Prof preferita: grazie. Seguo ogni verso, ogni sillaba in trepidante attesa.
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