(ad una pagina futura)

Una “grammatica della notte”, dunque.

E già la parola grammatica, assolutamente ruffiana e  ambigua, disegna recinti di regole e di eccezioni con cancelli (sempre aperti) di opzioni, circuiti formali e informali su cui  scivolano le parole, graticci di liste e combinazioni, trompe-l’-oeil lessicali…
Non gliene può importar di meno, alla parola “grammatica”, di gettare scompiglio e sconcerto: sa strisciare “fine”, a rintracciare la differenze appese ad un suffisso (i segreti dell’-oso e dell’-urno), poi si paralizza in opposizioni. Di marmo. E fa mucchietti.
A coniugarla con “notte” c’è da complicarsi la vita, appunto.
La notte, però, a grammaticalizzarsi già ci prova. Sua sponte. Fatale attrazione per le preposizioni, ad esempio.
Notte di… Eccola, subito ad allargarsi e a fare da indicatore temporale, anzi da cupola, a mettere i puntini sulle  “i” dei giorni, nelle  notti di san Lorenzo  o di san Silvestro o di Natale….
Non paga, razzola fra gli spazi: notte a, notte in, notte fra, da, su … Si accoppia ai luoghi, accumulando esperienze e usando le preposizioni come scivoli verso elenchi infiniti.
Per non parlare delle liaisons dangereuses con gli aggettivi: la notte bella di Ungaretti è tutta lì, con la sua “festa sorgiva/ di cuore a nozze”, e quelle bianche di Dostoevskij stanno ancora a contare stelle et similia, giusto per consolarsi di majakovskijani danni ad opera di tramonti macellai.
Ma la grammatica della notte è altro ancora.
Parlarne significa attraversarla, smontarla, sbloccarla, ripartirla in parole, in odori, in gesti, in colori, in tepori, in tempi e velocità, per poi ricomporla, magari sul tappeto volante di una terrazza.
(lo sanno tutti che le notti estive abitano le terrazze, mentre le notti invernali si arrotolano attorno ai camini e si intossicano di fuliggine).
Ma la grammatica della notte è altro ancora.
Parlarne significa scoprirne le leggi e le regole. Perché se alla notte è stato affidato il lato in ombra della vita, la parte del sottosuolo, il ruolo del mistero, qualcosa vorrà pur dire.
Il motivo per cui nella notte si rompe la consecutio temporum è un fatto da indagare.
Il motivo per cui le qualità e le azioni e le cose  notturne affiorano sotto forma di persone è bizzarria che urge essere spiegata, ad esempio.
Perché le analogie vi siano di casa, anche.
Per non parlare dei racconti, o, forse, proprio per parlarne.
Appena voltata la pagina di questa giornata.

(Nowhereman1, in un commento al post precedente, parlava di “grammatica della notte”.
Effe invita, nel solco di questa paternità, a proseguire il gioco nella direzione suggerita.
Anch’io.)