Il chierichetto imbambolato sbadigliava, coi ricordi della notte secchi ai bordi della bocca.
E il prete andava così in fretta che fece la croce benedetta con un dito, nello spazio stitico di un amen.
Si era sposata alle sei del mattino, col vento a rendere certi i contorni e stupite le cose.
Si era sposata con le gambe nude sulle scarpe.
E col vestito a fiori di sua madre. Di rasatello crema, le rose rosse che parevano dipinte: stretto in vita, la sottana ampia e il collo largo che girava torno torno. Tre bottoni d’osso a non nascondere il petto.
Ci aveva fatto la richiesta, sua madre, e non era stata fortunata, ché il suo uomo tanto suo non era: se l’era ripreso la suola delle scarpe, che sa portare lontano, quando non si ha giudizio.
Solo quel vestito e neanche un parente della sua vecchia casa: voleva così la Ginia.
Arrivò alla chiesa che sapeva di gerani: l’erba alle porte, in mezzo al granoturco.
Sul carretto del Doru: l’aveva aspettata sulla strada bianca dei Torelli, ché non ne avesse da far troppa a piedi. Poi lì, insieme, senza una parola.
Cosa c’era poi da dire.
Di cose se n’eran dette tante.
Al prete, che raccontava in piazza degli sposi muti e della chiesa vuota, si rispondeva con la stessa storia.
Cosa ci si poteva mai aspettare da una sfacciata che ne teneva in ballo tanti e sbatteva il suo bel no sul muso del padrone (come un cancello di ferro arrugginito), perché voleva il figlio, dio se lo voleva il figlio.
Come una matta. Come una stria. Come una gatta in estro.
Lo sapevan tutti: disposta ad andare nel frumento, a farsi trovare di sera in camporella, sulla spiaggia di Po che va nel bosco come una lingua, fra le zucche selvatiche e gli alberi in croce.
La testa se l’era persa, sì.
E lo sapevan tutti che il figlio del padrone la usava per dispetto al padre. E a casa si sarebbe portato l’altra, con le sue belle dozzine di lenzuola ricamate col gigliuccio, mica la Ginia con i piedi scalzi, scavsada sotto il sole a trapiantare.
E adesso… all’improvviso, lì, a sposarsi col pastore che poteva esserle padre. Quello della Ca’ triste, alla svolta larga del fiume. Uno che tre mesi stava e tre mesi andava. In piazza mai. Come se i pioppi fossero meglio dei cristiani.
C’è che l’aveva vista piangere in boschina, come succede nelle fiabe agre.
Gridare persino con le unghie e picchiarsi la pancia con i pugni.
E le aveva dato uno straccio pulito. Con le pecore zitte lungo il braccio morto di fiume.
Ci sono gesti che parlano da soli.
Han strascicato dentro il senso di un mestiere e il pieno di un sentire. Anche uno straccio può essere carezza.
Si sposarono in tre e senza pentimento.
colfavoredellenebbie ha detto:
Ecco, in questo momento mi piace far prendere aria a certe figurine che giacciono in archivio: non vi dispiace, vero? Animazione narrativa…
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cicabu ha detto:
Lo ricordo questo pezzo e mi ha fatto piacere rileggerlo..l’ultima frase è da manuale..grande Col…
^^
ps..qui neve, freddo, ghiaccio e nebbia..un inverno di quelli tosti..veri…
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setteparole ha detto:
Il tuo archivio deve prendere aria, assolutamente. Per quelle come me che vanno e vengono e qualcosa tralasciano e per tutti.perchè a leggere le tue cose non si spreca mai il tempo.
PS. Senza pentimento, ecco, cosa può esserci di meglio? Quasi un barlume di felicità, alla faccia del padrone, del figlio e della gente che parla.
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sgnapisvirgola ha detto:
Meravigliosa semplicemente. Da non riuscire a commentare.
:)*
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Deli ha detto:
:-) :-)
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marosit ha detto:
La penso come Cicabu: "l’ultima frase è da manuale".
E aggiungo: anche l’incipit. E aggiungo: di tutto quello che scrivi, Zena.
Temo però che non si possa insegnarlo, il tuo-modo. Penso invece che si possa (che si debba) studiarlo.
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annaritav ha detto:
È sempre bello riproporre, c’è un gustoso sapore di conoscenza e insieme di rinnovata sorpresa. Brava! Salutissimi, Annarita
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colfavoredellenebbie ha detto:
§§
Cara Cicabu, anche qui l’inverno è tosto e strano: il terrazzo sembra quello di Attila. Un saluto freddoloso:)
§§
Grazie, Sette. ti ritrovo sempre volentieri. Sto ragionando molto sulla scrittura, in questi giorni. E sulla lettura. Credo che quest’ultima sia un grosso regalo di pazienza: merita senso di responsabilità da parte di chi propone parole. Insomma, spero davvero di non portare via tempo:) Un saluto grande.
§§
Sgnapis, ti abbraccio.
§§
Deli, puratté :))
§§
Marosit, sapessi invece che ripensamenti….quasi solenni, carissima.Un abbraccio di affetto.
§§
Cara Annarita:)…ricambio i saluti con grande piacere, ciaoooo.
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barchedicarta ha detto:
insomma ho brividi zena e non solo dal freddo di questa stanza
chè ormai i termos si son spenti a quest’ora
tu hai sangue del Po vecio
del Po di una volta
che si è perso nel mare della miseria
mi son vista mia madre un po’
sposata al mattino bonora perchè incinta de me fradeo…
peccato grande a quei tempi
come se i figli fossero peccati
vestitin lungo ma de raso azzurin carta de sucaro…
un baso grande
mi e ti un giorno dovemo vedarse
ciamame d’là da Po che mi vegno…
felice felice di questo incontro…
di questa scrittura granda come el Po
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morenafanti ha detto:
Una meraviglia dall’inizio alla fine. La chiusa è superba e il resto è adeguato.
Un abbraccio :)
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mezzastrega ha detto:
che meraviglia
quella carezza di stoffa pulita….
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nowhereman56 ha detto:
Tutto ha un senso, anche ciò che incontra disapprovazione e non consenso. Sei andata a raccogliere questa storia ai margini della decenza, dove storie come questa si impigliano per la centrifuga del perbenismo. Una storia estrema, da raccontare, simile a quella che Fabrizio canta in "Marcia nuziale". Un caro saluto
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uomoecane ha detto:
Ricordo che mi davano 200 lire per fare il cherichetto alla messa delle 7 del mattino e mia madre mi chiese: " ma come, ti pagano?".
Non c’entra con il post, ma è un ricordo.
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isabel49 ha detto:
Le storie del passato, di quegli amori impossibili e di uomini che prendevano le donne a loro piacimento. Il matrimonio riparatore avveniva in sordina e le donne soffrivano, mentre i maschi continuavano a correre la cavallina.
Una storia narrata con eleganza poetica, una storia che mette in luce il dolore e le consuetudini del tempo.
E’ una meraviglia leggerti, cara Zena.
con amicizia
annamaria
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sistercesy ha detto:
venire da te è bellissimo,
ritrovo storie simili alle mie, riesci sempre a farmi tornare indietro nel tempo,
grazie Zena,
un abbraccio
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PrimoCasalini ha detto:
Non credo che il nesso amore-interesse non ci sia più. Dura nel tempo sotto forme diverse; è giusto che sia così. Ogni sublimismo per me è sospetto.
Per quello che ci riguarda, in casa c’è una frase-tormentone che esce almeno una volta alla settimana: "Tutto è nato da un equivoco. Io credevo che i soldi li avessi tu, tu credevi che li avessi io. Ce ne siamo accorti dopo, entrambi in bolletta dura. Palla avanti e pedalare, visto che insieme, malgrado l’equivoco, ci stavamo bene".
A parte questo, passando dalla campagna alla città, ci guardavano eccome, e non buttiamola tutta sui maschi cattivi arroganti etc etc. Ci guardavano le figlie e soprattutto le madri delle figlie: dove abitavi, che lavoro faceva tuo padre, che scuola facevi…".
Era una questione di priorità, bastava fare la mossa del cavallo: "Ah, tuo padre è avvocato… peccato… mio padre è ferroviere…. " Una specie di test per vedere se ci teneva o no, al figlio del ferroviere. Generalmente erano le brutte a non superare il test. La vita ha una sua strana semplicità compensatoria.
grazie Zena e saluti
Solimano
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aitan ha detto:
Magari poi si amarono davvero, tutti e tre e le pecore. Ché a me mi piace così, leggerla come una favola favolosa fino in fondo, fino al fondo del vissero felici e contenti. Ché questi sono tempi che c’è un bisogno matto e disperato di favole belle. (Raccontane altre!)
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MIRELLADEPARIS ha detto:
Un abbraccio alla mia cara Zena.
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cristinabove ha detto:
è una scrittura che incanta
fa materializzare scena e persone.
si sta a guardare come affacciati a lle parole.
bellissima!
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stepa ha detto:
Zena, torno a dirlo: tutto questo devi pubblicarlo su carta. Il blog è un orizzonte troppo vicino per la tua scrittura e troppo effimero per i personaggi che prendono vita dai tuoi racconti. Viva la carta e abbasso il silicio!
Abbraccio grande e ancora più grande.
S.
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Grizabella1 ha detto:
Concordo con Stepa. Buona settimana! :)
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amfortas ha detto:
Beh, non ho molto da aggiungere…certo che leggendo ciò che scrivi le emozioni, i ricordi, non mancano mai.
Uno di questi giorni (che sono convulsi) ti scrivo una cosa in privato, a proposito delle microcenturie.
Ciao.
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vera.stazioncina ha detto:
che bei quadri di vita e di storia ci regali inisieme a parole che non ricordavo più: " Come una stria".
Sei tu, cara Zena, una ‘stria’ della parola! :-)
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giustosentiment ha detto:
che bello questo racconto, dolcissimo e commovente. :-)
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giuba47 ha detto:
Cara Zena,
vengo qui quando ho un po’ di calma, perchè leggerti è sempre un piacere immenso. Sono bellissimi i pezzi che hai scrtto, ma sono ripetitiva. Leggo in silenzio e lascio che le parole fluiscano dentro di me.
Un abbraccio con un po’ di nostalgia.
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