Fu l’estate di Georges.
Nel senso di Calonghi Badellino. Il migliore dei dizionari di latino.
Tutto il sapere tutto, in due volumi neri e pettoruti. Di carta a grana grossa e segni di formica a dire la differenza fra regola ed eccezione.
Bisognava averlo, perché quello di casa ormai cadeva a pezzi e  c’era da inventare: il nastro adesivo per pacchetti (marrone, per altro) già si era  mangiato intere colonne di parole in giunte provvisorie.
Insomma c’era da prendere una decisione.
Il costo del Georges Calonghi Badellino era imponente e si sommava ai libri di greco e tutto quanto, per la scuola nuova.

Perché non vieni a dar ‘na mano, la ragazza va in ferie e te sei svelta, disse la Ines del negozio, una mattina: già da piccola ci andavo per cerniere, spagnolette e ogni tipo digrosgrain, sussiegosa per i compiti maturi che miazia, la sarta, da sempre mi assegnava (scegliere il colore del filo da cucire, contare gli automatici due volte, cose che riempiono di soddisfazione…).

In realtà non c’era un gran da fare, nei pomeriggi caldi dell’estate. Però si stava bene.
La bottega era un luogo di frescura: entravi e la luce veniva da lontano, scriveva un corridoio nell’androne, foderato di pezze di stoffe alle pareti, di manichini con le dita mozze e  spilli a modellare improbabili drappeggi sulle spalle.
Il vecchio marmo, che faceva pavimento, dava un frigidino persistente, come in ostaggio fra le ali dei banchi laterali: lì, lì sopra, si  poggiavano richieste di bottoni, sospiri per pizzi e taffetas, svelature di calze e sottovesti, campioni di tessuti che chiedevano spighette in armonia.

C’era in fondo solo da ascoltare e poggiare le cose possibili sul banco: sorridere, anche. Ed essere gentili: scomporre le cartine dei bottoni perché facessero proprio il loro occhio e dare un colpetto con il polso: così la biancheria pareva un sortilegio volato fuori dalla scatola, con le pieghe ancora ferme al loro posto.
Piaceva, alla signora Ines, se aggiungevo frasi un po’ da grande … come ha scelto bene, …  ah, piace anche a me, …l’ha comprato pure la miamamma…
La vedevo assentire con la testa.

Forse fu questo a darle un’altra idea.
Vieni più presto, domani pomeriggio.
Al banco ammiraglio, quello col cassetto dei conti e dei tesori, c’era un registro, assieme ad una penna.
Scrivi, mi disse, ché non ho mai le idee se muore o si sposa qualcheduno. Scrivi, così faccio una figura buona, anche per i battesimi e le comunioni. E’ che ci vogliono parole per tutte le occasioni. Scrivi ben qualcosa pure per gli auguri.

Fu l’estate delle parole in fila, a compensare i vuoti dei clienti con tanti bigliettini in ordine di tema e di lunghezza.
Con nascite e nozze andava a meraviglia, la mistica invece un poco difettava. Ma era nelle frasi di cordoglio (parola sempre odiata con fierezza) che fruttava il lato drammatico di casa. Certe espressioni che sfuggivano a mianonna, certe poesie di Foscolo recitate da miamamma, ritornavano in  frasi piene di urne, di ombre e di celesti doti… Scrivevo e rileggevo proprio col magone quei ‘nel giorno della vita più angusto e doloroso’  e mi veniva da tirare su col naso.

L’estate finì ed io fui ricompensata, moderno baratto fuori norma, con due scampoli di lana e di cotone: prima avvisaglia di simil-sfruttamento che germinò in mute proteste e grandi pianti.
Il Georges  Calonghi Badellino me lo comprò mio padre.

Questo mi è venuto in mente, oggi: chissà come sarebbe ritrovare ora un biglietto d’auguri scivolato da  quel registro. Verrebbe da sorridere, certo, a fronte di tanta bruttezza.
Meglio servirli  freschi, gli auguri, di giornata e possibilmente non di seconda mano.
Eccoli qua. Buon anno a tutti.
zena