Il mondo bello cominciava all’altezza dello stallo, col muro che svoltava all’improvviso e la strada che piegava alla salita.
Perché la piazza partiva lì, dal basso, quando potevi pensarne le vetrine.
Bastava giungere alla Posta per sentire un’aria quasi cittadina: il battito serrato della timbratura tampone-pacco-tampone-pacco, e la voce staccata della Menta che, nello sgabuzzo appena un poco oltre, ripeteva il suo pronto centralino.
Già quel nome dolce era promessa del mondo della piazza, della signora che vendeva confetti di zucchero pressato al vago sapore di anisetta, certe pastiglie a forma di bottone, croccanti sotto i denti: presa confidenza col palato, poi si scioglievano in briciole dolci e durature.
Piazza voleva anche dire ‘ferramenta’, antro un po’ oscuro che riservava tesori di ottoni e di argentati, in forma di chiodi e viti e ganci, nei cassetti di legno scoperchiati (piaceva vederli volare verso il ferro a calamita e scommettere su numeri e prelievi).
Piazza significava il tempio delle stoffe, che, ad un tocco del polso di Cleante, si spargevano in laghi di bellezza sul tavolo di legno.
Soprattutto piaceva la bottega piccola dei fiori, con la vetrina che faceva aiuola: solo garofani bianchi rossi e screziati, a costellare battesimi, compleanni e funerali.
La signora non aveva età, la pelle un poco scura, color di sigaretta, i capelli bianchi e la grazia di mani ballerine che componevano veloci (felci e velo di sposa a dare leggerezza a mazzolini tondi).
Si chiamava Tioga ed era piccola quanto la bottega, che tracimava al primo cliente in sosta.
Mentre sceglieva con cura fiori e bigliettini, da nascondere nel mazzo o nel cestino, la fioraia sempre raccontava di sua figlia, nel delta ad insegnare.
E pareva di vederla, la ragazza, partire di mattina, dentro a uno stormo di anatre in fila, per quel luogo di ignota geografia, spostato più in là dalla narrazione. La si pensava in una scuola pigolante di bambini d’acqua, nel mezzo di un canneto o a filo dell’argine maestro.
Quasi sembrava di fare torto a cercare di uscire un po’ di fretta, perché la Tioga aveva bisogno di stupire con le meraviglie della figlia, così bella e brava, che aveva cresciuto lei, vedova di guerra, con quel botteghino.
Si guardava oltre la vetrina, sorridendo e cercando il saluto del commiato, ma senza impazienza, con la rassegnazione delle cose giuste.
La strada di piazza finiva così, nell’odore pepato dei garofani, con sensi accennati di cannella.
E poi dicono che dall’etere non arrivano i profumi, basta solo saperli trasportare, e tu, tu ci riesci. Un abbraccio di stima. Buonecose
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ci sono odori così chiari nella memoria eppure così difficili da dire…L’odore della stanza del latte, ad esempio, dove una signora lo vendeva travasandolo da un immenso pentolone. Ci si sentiva dentro a un rito profumato:)
grazie, cara Germogliare, grazie:)
z
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è così speciale il modo in cui racconti del sentire… sempre :-)
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carissima, ho voglia di vederti, sai:)
(finirà questa estate ipercalurica)
abbraccio
z
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Mi piacciono infinitamente i nomi che recuperi nei tuoi racconti, Zena. Tioga, Cleante … ma dove li trovavano?
Un abbraccio. Edoardo
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Me lo chiedo anch’io da dove siano nati certi nomi: reali, eh, perché i nomi non si possono inventare:))
Nel paese dove sono nata io, a un soffio da qui (il paese in forma di ferro di cavallo), circolavano nomi ancora più strani. E così una donnona simpaticissima sta tuttora vivendo con il generalissimo nome “Serse” :))))
ciaooooooo
z
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Cleante è il più bello!
(Zena a parte…che è la più tutto. In assoluto!)
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ciao, cara Lucia…
sempre buona tu:)
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Oh, Zena, tu sei speciale!
Come è bello leggerti.
Inutili altre parole.
Ti abbraccio forte.
gb
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grazie, gb… e non preoccuparti mai dei tempi:)
con me, perennemente alla rincorsa del minuti, deve essere l’ultimo dei problemi;)
un abbraccio
z
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“E pareva di vederla, la ragazza”… Proprio.
Ma che gioiellino, Zena.
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ci sono piccole figure che riaffiorano, all’improvviso, e allora è meglio fermarle con uno spillo (magari di parole) perché non scappino, definitivamente:)
Ciaooooooo
z
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“in una scuola pigolante di bambini d’acqua, nel mezzo di un canneto o a filo dell’argine maestro.”
…
“La strada di piazza finiva così, nell’odore pepato dei garofani, con sensi accennati di cannella.”
per me poesia, sempre.
i tuoi raccontiricordi, una vista sul fiume incantato della tua memoria
ti abbraccio
cri
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Cara Cristina, sai a cosa pensavo? alla bellezza dello stupore, al bisogno di prolungarlo e di farlo vivere anche nel presente.
Spero che sopravviva all’appiattimento che ogni cosa sembra subire, in questi momenti così pressati dall’indifferenza. Non ci si stupisce più di nulla,né in senso positivo né in senso negativo…
E allora continuo la mia microbattaglia, non violenta e quotidiana, almeno in forma di parola (e di sentire) :)
un abbraccio
z
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Per gli odori, a differenza dei colori, no esistono nomi specifici. Occorre parlare del luogo, del tempo, dell’oggetto, narrarli per approssimazione. Ogni tanto avviene il miracolo – a te riesce sempre – di evocarli con parole che li risvegliano nella memoria, li resuscitano e per un po’ li fanno rivivere, lievi, volatili, inafferrabili eppure presenti.
Ciao, Zena (il caldo passerà:-))
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Vero: gli odori non hanno le ‘loro’ parole… Ci si arriva per approssimate insinuazioni:)
Lo so che è molto prosaico l’esempio, ma lo faccio ugualmente.
A me piace cucinare di sera, proprio a sera avanzata: mi pare di prendere un vantaggio sulla mattina, che lascio fresca, senza pentole a sobbollire… E poi (lo so che sono sciocca) mi pare che la sera gli odori si concentrino di più, perché non sono distratti dalla luce ‘oltre la finestra’;)
Per farla breve, ieri sera ho preparato una peperonata in agrodolce, su scala industriale… Beh, peperoni cipolle pomodori zucchero aceto e sale sanno scatenare un profumo che è indescrivibile.
Allora mi sono ricordata che, quando mia nonna preparava questa ricetta, i vicini dicevano che avrebbero volentieri intinto il pane nell’aria..Non descrive l’odore, ma fa viaggiare il sentire:)
Abbraccio
z
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Intingo anch’io il pane nell’aria, nonostante questa sia ora di prima colazione:-))
Buona domenica, Zena!
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Ti ho letta e mi hai intriso l’anima di nostalgia verso
i luoghi narrati e dolcezza per i personaggi qui dipinti,
vorrei poter correre la dove la piazza regalava i suoi profumi,
a masticare pastiglie a forma di bottone, a respirare i profumi
di garofano e cannella … e ascoltare quelle voci della piazza che
sfumano lontano.
Grazie per questo affresco
Letizia
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Grazie a te, Letizia, di cuore.
la cosa più bella, che possa capitare alle parole, è quella di uscire da cerchio di chi le ha scritte per parlare anche agli altri:)
Un saluto caro.
zena
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“Un tocco del polso” e… voilà, dal canneto alla cannella è solo un passo, uno svincolo di profumi e suoni, un drappeggio di ombre e riflessi sull’acqua che li trascina via, garbata ma inesorabile. Del resto il Po non è la Vistola, e tu non sei né Gunther Grass né Guareschi — per loro sventura e per la gioia delle scoperte che sempre ci rinnovi, col rigoglio tropicale della Tioga.
Buon ferragosto, Zena! E un abbraccio di scorta, nel caso quello del giorno si raffreddi un po’ (con l’apostrofo e senza zanzare).
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Cara Marilù, lo vedi? Tu cammini sul filo delle parole come una ballerina:) E’ una gioia leggere i tuoi commenti.
Grazie grazie grazie e un abbraccio al ‘profumo’ di Autan, fra una zanzara e l’altra.
zena
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Grazie a te, Zena impareggiabile. Anche perché col tuo amabilissimo abbraccio riesci a rendermi molto, molto gradito — persino identico a un profumo! — l’odore dell’Autan, che mi è sempre stato irrimediabilmente odioso, al punto da farmi preferire l’intrusione bellicosa delle zanzare alla sua, solo apparentemente mitigata da ragionevolezza e inevitabilità.
Eppure questo dovrebbe indurmi a riflettere…. Ma è tardi, il sonno è tiranno come il Tempo, per cui: zzzzzzz.
(E bacio — soffiato,eh!), marilù.
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Studieremo uno scudo universale fatto di citronella, geranio e autan denaturato, perché anche gli abbracci vogliono la loro parte:))
grazie, marilù,
un saluto grande
zena
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Un bel racconto dal retrogusto dolce vede questa passeggiata nella piazzo dove la Tioga pare essere un momumento indistruttibile.
dal tono lievemente etereo e armonico come i fiori della Tioga si legge e si gusta e si rilegge e si gusta di nuovo.
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Grazie per questo commento così gentile!
la Tioga era davvero una figura delicata, proprio come i suoi garofani.
Un caro saluto.
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Il tuo racconto è uno scorrere placido di ricordi dal sapor morbido e melanconico. Ne gusto il retrogusto raffinato del bel scrivere.
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Grazie, davvero:)
mi piace la lentezza e cerco di costeggiarla (o corteggiarla:)) con le parole.
Un saluto sorridente,
zena
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che buone quelle caramelle a forma di bottone e che sanno di zucchero… :-)
saluti zuccherosi a tutti coloro che hanno lasciato qui i commenti e soprattutto ad amiche che è un po’ che non leggo… Sorrisi!
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che piacere ritrovarti, Vera, e sapere che, i nostri, sono fili resistenti al tempo e allo spazio. Anche alla vita….
un abbraccio sorridente
zena
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Lettura davvero piacevole, grazie
ml
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sono io a ringraziare:)
buona giornata,
zena
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